Panarea

Panarea, l’antica Euonimo, è un isola molto scenografica, una delle più incantevoli dell’arcipelago. L’isola, le piccole isole (Basiluzzo, Dattilo, Lisca Bianca) e gli isolotti (Bottaro, Lisca Nera, Panarelli e le Formiche) sono fa considerarsi parti dello stesso complesso vulcanico: rappresentano i resti di centri eruttivi impiantatisi su una stessa unità morfologica costituita da un rilievo vulcanico sottomarino. La formazione dell’isola, la più antica dell’Arcipelago Eoliano, è attribuita al Siciliano da Keller e al Milazziano da Pichler. Nella parte emersa è impiantato un vulcano strato, di cui attualmente rimane la parte orientale; sui fianchi successivamente si sono formati centri eruttivi secondari sotto forma  di cupole  di ristagno. La vetta più elevata dell’isola è detta Pizzo del Corvo (m 420), che digrada  a oriente  con terrazzi coltivati a grano e ulivi. Questo versante è dominato dagli impervi costoni di Pizzo Falcone e di Pizzo Castello. A occidente le pendici presentano aspri appicchi a pareti rocciose chiazzate di verde. L’isola è costituita da un grande ammasso di andesite che si sovrappone alle rioliti colonnari visibili all’estremità settentrionale detta Calcara e a quella meridionale denominata Milazzese. L’abitato è sparso pittorescamente sulle falde orientali con le sue candide casette attorniate da oliveti e da rupi ciclopiche. Le abitazioni sano raggruppate in tre contrade che assumono rispettivamente i nomi di Iditella, di S. Pietro e di Drautto. Di primo piano è l’importanza di Panarea dal punto di vista paleontologico per il noto villaggio del XIV sec. a.C. Eseguendo una gita in barca attorno a Panarea, sfilano dinanzi allo sguardo meravigliato panorami sui generis: colossali blocchi arrotondati o tagliati a prismi, isolati nel mare, scogliere coronate da alti pinnacoli e incantevoli insenature come Cala Junco. L’isola di Panarea è stata abitata fin dall’età neolitica. Si hanno testimonianze del periodo dello stile di Diana sul Timpone del Corvo e della Calcara (strato di base). Nella località Piano Quartara sono state trovate tracce di un insediamento appartenente all’inizio dell’età del Bronzo. Alla Punta di Peppe Maria e alla Calcara (strato II) sono cospicue le tracce della cultura di Capo Graziano e cioè dal XVIII o XVII sec. al 1400 a.C. Sul promontorio di Punta Milazzese all’estremità Sud Est si sviluppa un villaggio di capanne risalenti alla media età del Bronzo (1400 – 1270 a.C.). Anche Basiluzzo ha una certa importanza archeologica. In tutta l’isola si osservano vestigia di edifici romani in opus reticulatum con tracce di pavimenti e mosaico e di intonaci colorati delle pareti. A questi appartiene anche un grande vano seminterrato prossimo alla salita d’accesso. Poco lungi dall’approdo, con buone condizioni di visibilità, si osserva nel fondo marino un rudere probabile darsena di età romana oggi sommersa per fenomeno bradisismici. Meritano di essere visitati anche gli incantevoli gruppi di scogli vicini e le isolette di Lisca Bianca, Lisca Nera e Dattilo che si erge imponente con la sua caratteristica forma piramidale. Nell’estremo nord di Panarea in una conca denominata Calcara, probabile sede d’un edificio vulcanico di epoca preistorica oggi si riscontrano manifestazioni fumaroliche. Nella roccia si osservano profonde alterazioni. Il suolo è scottante e si presenta rigato da esili fratture che si dirigono in tutti i sensi. Dove si incrociano, il gas si sprigiona in gran copia. Particolare caratteristica, che conferisce alla zona un aspetto strano, è la colorazione policroma di cui è rivestito il suolo. In altre plaghe dell’isola si notano tracce di azioni fumaroliche ormai estinte da epoca immemorabile. Nei pressi della banchina, sita in contrada S. Pietro, sgorga una sorgente d’acqua calda (50° C.) che viene utilizzata dagli isolani a scopo terapeutico con eccellenti risultati. Dinanzi a Panarea è lo scoglio di Bottaro vicino al quale, in tempo di bonaccia, si osserva un fenomeno determinato da fumarole sottomarine. Numerose bolle di gas, sprigionatesi dal fondo, si aprono sulla superficie del mare, generando un gorgoglio che costituisce la cosiddetta “caldaia”.

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